A Torino primo laboratorio di semiotica del cibo

Palazzo nuovo a Torino, sede dei dipartimenti di studi umanistici

 

di Elisabetta Lachelli

 

A Torino arrivano sui banchi dell’Università le riflessioni sul rapporto tra semiotica e alimentazione. 
Il Dipartimento di Studi Umanistici ha in programma un laboratorio di Semiotica del Cibo destinato agli studenti di Scienze della comunicazione e di Comunicazione e culture dei media: il corso, che è una novità assoluta per l’ateneo torinese, comincerà il 23 aprile 2015 e sarà tenuto dalla ricercatrice Simona Stano con la supervisione scientifica del semiologo Ugo Volli.

«Il laboratorio – spiega Stano – è stato pensato a partire dal rinnovato interesse delle scienze umane e sociali nei confronti dell’alimentazione. Nonostante i tentativi del materialismo culturale (Harris 1985) di ricondurre costumi, preferenze e tabù alimentari a fattori di ordine materiale ed “ecologico”, è emersa sempre più chiaramente la tendenza a riconsiderare l’alimentazione da una prospettiva diversa, maggiormente attenta alle dinamiche socioculturali». Questo, spiega la ricercatrice, sta avvenendo in ambito accademico, così come nelle comunicazioni di massa, nei discorsi dei cosiddetti nuovi media e in varie sfere della vita quotidiana.

Per Simona Stano, «è innegabile che le abitudini alimentari siano in certa misura regolate da fattori di ordine ecologico e materiale, non bisogna ignorare il ruolo determinante delle culture nella strutturazione dei sistemi alimentari. Come ricorda Ugo Volli, la cultura materiale, di cui l’alimentazione fa parte al pari dell’abbigliamento e dei manufatti urbani, è indubbiamente “materiale” e pertanto soggetta a determinati limiti di natura biologica e fisica. D’altra parte, è innanzitutto una forma di “cultura”, ovvero un sistema di conservazione e produzione dell’informazione (come direbbero Lotman e Uspenskij) che interagisce con la “non-cultura”». Secondo la ricercatrice, questa crescente consapevolezza ha portato a una moltiplicazione dei punti di vista, spingendo studiosi e opinion leader a interessarsi sempre più all’alimentazione.

Il laboratorio prevede 12 lezioni da 3 ore ciascuna dedicate, tra gli altri argomenti, a cibo e identità culturale, cibo negato, rapporto tra il cibo e le arti.
Gli incontri combineranno lezioni frontali, presentazioni audiovisive, esercitazioni pratiche individuali e di gruppo.
«Il laboratorio – afferma la ricercatrice – intende offrire ai partecipanti una generale introduzione alla semiotica del cibo, considerandone le linee investigative di maggiore interesse e attualità. Dopo una breve introduzione all’ambito disciplinare e al contesto bibliografico di riferimento, analisi puntuali ed esercitazioni pratiche permetteranno agli studenti di esplorare testi, discorsi e pratiche inerenti all’universo alimentare, dalla ristorazione etnica al turismo enogastronomico, dal marketing alle arti visive, dalla letteratura ai media». L’idea di base è quella di un corso fortemente interattivo, un “laboratorio”, appunto, aperto a un numero ridotto di studenti, che permetta ai partecipanti non solo di ricevere informazioni ed esempi di analisi in riferimento ai temi trattati, ma anche di riflettere in prima persona sui diversi linguaggi, codici, pratiche e forme di vita associati all’universo alimentare.

Tra gli argomenti al centro del laboratorio ci sarà l’alimentazione come simbolo di identità culturale.
«La globalizzazione dei mercati, i crescenti flussi migratori e il turismo internazionale – sottolinea Simona Stano – hanno largamente favorito lo scambio di prodotti e pratiche alimentari, prendendo parte a un ampio processo di ibridazione. Un processo che crea tanto omologazione quanto differenziazione. Come sostiene Allison James in “Cooking the Books”, gli alimenti globalizzati rappresentano modi di rapportarsi al globale mediante il locale, di abbracciare l’alterità dichiarando al tempo stesso la propria identità».
Un altro dei temi in esame sarà quello della privazione del cibo che può essere attuata per ragioni differenti che vanno da prescrizioni religiose a patologie fisiche, da indicazioni mediche a dettami socioculturali. Gli aspetti che vanno tenuti in considerazione per comprendere questo fenomeno, secondo gli esperti, sono quindi sia di carattere materiale, sia di carattere ideologico.
Il laboratorio di Semiotica del Cibo è, come si diceva, una novità per l’ateneo torinese.
«In anni recenti – afferma Stano – ho tenuto alcune lezioni su questi temi nell’ambito di corsi di semiotica presso l’Università di Torino e altrove ma, nonostante la proliferazione di convegni e dibattiti pubblici dedicati a svariati aspetti legati all’universo alimentare, è la prima volta che viene organizzato uno specifico laboratorio su tali tematiche nel capoluogo piemontese».
Per quanto riguarda simili progetti in altre università, ci sono diversi gruppi di ricerca, come il Diasporic Foodways – Jackman Humanities Institute dell’Università di Toronto, che organizza dibattiti e cura conferenze e pubblicazioni su diversi aspetti legati all’alimentazione e veri e propri programmi di studio, come il Master in Comunicazione e Cultura del Gusto, organizzato dall’Università di Palermo, oppure le iniziative dell’Università di Pollenzo (CN) o quelle dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.
Ragionare sull’alimentazione, conclude Simona Stano, non è solo una pratica intellettuale, ma può portare a sensibili cambiamenti nella vita quotidiana.
«La riflessione sul modo in cui determinate usanze e particolari gusti esprimono la nostra identità, la nostra cultura, il nostro desiderio di integrarci o distanziarci da particolari gruppi – spiega – può comportare variazioni nelle nostre abitudini alimentari, orientando le nostre scelte e pratiche di consumo».

Sul web: www.simonastano.it

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