Riva, la filosofia del cibo come arte del vivere bene nel corpo e nel mondo

Riva Franco

Di Elisabetta Lachelli

Per la Filosofia occuparsi di cibo è una cosa scontata. Perché esiste uno stretto legame tra la scienza del pensiero e l’azione concreta del mangiare.

Parola di Franco Riva, filosofo e professore di Etica sociale, Filosofia del dialogo e Antropologia filosofica all’Università Cattolica di Milano che ha appena pubblicato il saggio “Filosofia del cibo” (Castelvecchi editore).

«Il fatto che la filosofia si occupi dell’alimentazione è un passaggio quasi obbligato – osserva Franco Riva – Fin dalla sua origine questa scienza si è interessata al rapporto dell’uomo con il suo corpo e, di conseguenza, con il cibo.

Il tema inizia a farsi strada con la teoria socratica che limita la dimensione umana alla sola anima. Platone riprende questo concetto nel Fedone, considerando vita vera solo quella fuori dalla prigione del corpo. Al contrario, quando Epicuro elabora la teoria del piacere, s’immagina persone sagge che passano il loro tempo banchettando in campagna e parlando di filosofia.

La filosofia si occupa del cibo perché si occupa del corpo e di cosa sia l’umano».

Riva propone una rassegna delle posizioni principali che la filosofia ha assunto nei confronti dell’alimentazione, in particolare dall’Ottocento in poi. Quasi una “Storia della Filosofia contemporanea del cibo”.

«Si sono sempre confrontate due scuole di pensiero. La prima contrappone lo spirito al corpo (e al cibo) e diffida della dimensione materiale. Una rappresentante di questa corrente è Simone Weil. Per la mistica francese, il corpo è un animale che deve essere educato alternando le frustate alle zollette di zucchero.

La seconda posizione è quella di chi considera l’uomo anche come corpo e in quest’ottica rivaluta il cibo. A tal proposito si può citare Feuerbach, autore de “Il mistero del sacrificio”, il cui sottotitolo non a caso è “L’uomo è ciò che mangia”».

La filosofia si è quindi sempre divisa sul rapporto che intercorre tra corpo (e cibo) e anima. Riva ritiene comunque possibile una mediazione tra i diversi atteggiamenti attraverso un modo di pensare attento al vissuto del corpo e del cibo:

«La prospettiva fenomenologica considera il corpo come un compagno di vita. Questa teoria si colloca in equilibro tra la concezione platonica del corpo bestiale e l’idea  dell’uomo come pura materialità. Le diverse dimensioni dell’uomo (fisica e spirituale) si riconciliano nell’idea che vivere è essere incarnati.

Questa concezione, però, pone nuove questioni di responsabilità.

Novalis e Goethe, dato che mangiare è indispensabile, credono che si configuri necessariamente come gesto aggressivo nei confronti degli altri: o vivo io, o vivi tu. Se questo è il principio, se il mangiare è un bisogno che fa diventare distruttori e assassini, allora non è possibile alcun discorso sulla responsabilità e sull’etica.

Credo invece che la filosofia debba interessarsi all’alimentazione anche da un punto di vista morale. Il cibo è allo stesso tempo quanto di più semplice e quotidiano, ma anche quanto di più importante possa esserci. Sartre dice che l’uomo fa l’assoluto mangiando. Ha ragione: l’uomo è sempre uomo (oppure non lo è mai) anche quando mangia».

Riva spiega che la filosofia ha tre vie di azione per rispondere alle sfide che la società contemporanea mette in campo.

«In primo luogo deve denunciare le contraddizioni, pratiche e teoriche. Una di queste è il circolo vizioso che ci vuole contemporaneamente grassi e magri, obesi per l’abbondanza di cibo di qualsiasi genere e in forma per il ritorno al mito

del salutismo. Per usare un’immagine biblica, noi viviamo contemporaneamente nella stagione delle vacche grasse e delle vacche magre. La filosofia deve denunciare questa incoerenza, altrimenti rischia addirittura di giustificarla correndo dietro ora al gusto ora alla salute».

La seconda via d’azione è rilevare l’ironia nel rapporto tra filosofia e cibo.

«Questa strada mette in luce le assurdità che vengono dette sull’alimentazione senza che siano mai contestate e messe in discussione. La filosofia deve fare ironia anche su stessa e su quello che ha detto sul cibo. Il sociologo e filosofo tedesco Georg Simmel sostiene ad esempio (un po’ come Platone) che esiste un mangiare quotidiano e operaio: serve semplicemente a sostentarsi nella fatica del lavoro e non ha altro valore che questo. Per il sociologo il cibo diventa umano solo quando lo si consuma a una tavola imbandita e in compagnia di commensali

borghesi e intellettuali. Non si può che ridere con amarezza di questa opinione, da un lato perché il convivio e la tavola imbandita non garantiscono in anticipo nessuna umanità del mangiare intesa come responsabilità e dall’altro lato perché il cibo del lavoro ha una dignità umana altissima.

La terza via che la filosofia può praticare è quella della responsabilità nei confronti del mondo, degli altri e della giustizia.

«Sarebbe ipocrita se la filosofia e la morale non s’interessassero all’alimentazione. Il cibo ci pone di fronte a grandi questioni globali e ci costringe a prendere sul serio la nozione di corpo. L’alimentazione ci ricorda costantemente che siamo un corpo e che dobbiamo rapportarci con gli altri esseri viventi, con i territori, con le risorse naturali. Il cibo porta a chiedersi se vivere voglia dire aggredirsi reciprocamente per sopravvivere. Stare cioè in una guerra alimentare perpetua per assicurarsi territori e monopoli del cibo. Mangiare ci mette di fronte a una quotidianità vissuta e intensa».

Nel mondo contemporaneo il singolo è sottoposto, anche in campo alimentare, a continue pressioni e sollecitazioni. Vedi problemi mondiali e sanitari quali l’obesità, la bulimia, l’anoressia. Ognuno di noi ha poco potere perché si ritrova all’interno di uno stile di vita che, in sostanza, non sceglie.

«Occorre una presa di coscienza individuale, ma soprattutto una presa di coscienza collettiva. Servono pratiche, politiche e scelte di vita comuni diverse.

Il singolo deve essere tanto al punto d’inizio quanto al punto d’arrivo di questo processo, in un’ottica di convivenza democratica, partecipata e trasparente anche dal punto di vista nutritivo».

La filosofia serve così anche a introdurre stili alimentari coerenti, cambiamenti nella vita di tutti i giorni. «Solitamente in filosofia i riferimenti all’alimentazione vengono usati come esempi per spiegare questioni più ampie. Perché invece non rovesciare il discorso? E’ proprio il quotidiano che ci deve interrogare sui massimi sistemi, non viceversa».

E qual è la scelta alimentare del filosofo Riva?

« Potrei definirla “la dieta dell’orso”: onnivora, di qualità, con prevalenza di vegetali. Prodotti biologici e biodinamici, frutta e verdura di stagione e un consumo contenuto di carni. Con lo studio di questi argomenti ho incontrato il pensiero buddista secondo cui non si deve fare male a nessun essere vivente; per me potersi nutrire senza fare violenza è comunque un simbolo interessante da tenere nella massima considerazione».

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