Essere antispecisti vuol dire davvero essere ambientalisti?

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Il tema “Mangiare il vivente: la scelta tra essere onnivori o vegetariani” è stato al centro della prima serata dell’edizione 2014 di Pensare il Cibo.
Un argomento molto attuale, viste anche le polemiche scaturite a seguito della puntata di Report sulla spiumatura delle oche, su cui hanno dibattuto i filosofi Enrico Guglielminetti, docente all’Università di Torino e Simone Pollo, ricercatore all’Università di Roma.
A lanciare il dibattito, Massimiliano Borgia, giornalista e moderatore della serata, che ha introdotto la questione animale chiedendosi, e chiedendo ai relatori, se l’animale, oltre ad essere un organismo senziente, ha la dignità di fruire anche di aspetti morali e giuridici che vieterebbero non soltanto la sua uccisione ma anche il suo allevamento e l’utilizzo di prodotti da lui forniti come uova, latte, lana etc..
Enrico Guglielminetti pone in contrapposizione la visione tradizionale antropologica, che per secoli ha messo l’uomo al centro dell’universo, subordinando tutto il resto alle sue necessità e ai suoi desideri, con la visione più moderna che ha ispirato una coscienza più ecologica e animalista, prima inesistente.
Centrale, secondo Guglielminetti, è stato il pensiero di alcuni studiosi, tra cui il filosofo australiano Peter Singer, che nella sua opera più famosa “Liberazione Animale” ha ragionato sulle differenze tra razionalità e non razionalità, tra razionalità e spirito.
La teoria “antispecista” di Singer critica il cosiddetto “razzismo di specie” che gli uomini hanno nei confronti degli animali, considerati inferiori perché non razionali. La tesi provocatoria di Singer, che rischia di sfociare in pericolose derive eugenetiche, è che se la dignità di un essere vivente dipende dalla razionalità: «Allora, alcune specie animali – provoca Guglielminetti – hanno più diritti di alcuni uomini con gravi malattia cerebrali?».
Da qui viene fuori, secondo Guglielminetti, la necessità di trovare modi nuovi e diversi per affermare l’importanza della vita, non limitandosi alla differenza tra esseri razionali e quindi superiori ed esseri non razionali e quindi inferiori.
Il pensiero tradizionale considerava che razionalità e spirito fossero connesse; ora, si chiede Guglielminetti, è ancora così?
La domanda su cui bisogna riflettere è, sostiene Guglielminetti, se è necessario dare una dimensione spirituale agli animali, se, in un certo senso, bisogna dare loro lo “status di persona” in quanto esseri con pari dignità spirituale dell’uomo.
Secondo Simone Pollo la visione tradizionale dell’uomo nei confronti degli animali e dell’ambiente è cambiata a seguito delle tesi rivoluzionarie di Charles Darwin. Tra uomo e animale esistono sicuramente delle differenze, ma è ormai accertato che c’è un’origine comune, una continuità tra di loro; il mondo naturale e animale non sono più subordinati all’uomo in quanto essere superiore.
Ma perché oggi l’uomo è molto più attento di prima alla cosiddetta questione animale? Per due ragioni, sostiene Pollo. Innanzitutto per uno sviluppo della coscienza morale e per una maggiore empatia nei confronti del regno animale. L’uomo, infatti, riesce a percepire perfettamente gli stati d’animo degli altri esseri viventi, sofferenza, felicità paura, e nei secoli ha maturato un’attenzione morale verso tutti questi segnali. L’uomo, insomma, non può più far finta di niente proprio perché ha riconosciuto nell’animale un essere senziente che prova i nostri stessi stati d’animo.
In secondo luogo, l’uomo ha sempre più la necessità di sapere, di conoscere. Citando il saggio “Se niente importa” del grande scrittore americano Jonathan Safran Foer, Pollo mette in evidenza come l’uomo abbia acquisito nel tempo, non soltanto una maggiore sensibilità, ma anche una maggiore sete di conoscenza; l’impellente necessità di sapere cosa si nasconde dietro i normali gesti quotidiani come, per esempio, mangiare un filetto di carne. Se i macelli sono tra i luoghi più impenetrabili che esistono, anche alle stesse persone che ci lavorano, è proprio perché puntano ad anestetizzare la nostra sensibilità, il nostro bisogno di sapere “cosa c’è dietro”.
Il dibattito ha poi fatto emergere altre questioni centrali come l’effettiva responsabilità dell’uomo nei confronti di ciò che lo circonda e il legame esistente tra le tesi animaliste e quelle a difesa della natura e dell’ambiente.
Per Pollo essere vegetariani non è naturale, perché lo sfruttamento degli animali, fin dagli albori, ci classifica come Homo Sapiens. La scelta vegetariana deriva più da un processo riflessivo, da una maggiore empatia con ciò che ci circonda. Il vegetariano antispecista, insomma, si crea un problema di coscienza, chiedendosi che persona vuole essere e che forma vuole dare alla propria vita e a quella dei propri figli in rapporto alla vita animale. Secondo Pollo la responsabilità dell’uomo nei confronti della natura è limitata, perché l’uomo non è al centro del mondo, è un episodio marginale. Diversa è invece l’idea di Guglielminetti, secondo cui la responsabilità è maggiore in base a quanto l’altro è più debole e, di conseguenza, la responsabilità dell’uomo è necessariamente alta.
Il dibattito resta apertissimo.

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