Perullo, il cibo cambia i simboli della nostra vita

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Una nuova area tematica si aggira dentro la grande famiglia della filosofia. La filosofia del cibo, nata negli anni ’90 negli Stati Uniti nell’ambito della riflessione sulle tematiche di genere, è ora parte della speculazione filosofica anche in Italia.

Un impulso forte nel fare passare il “tema cibo” dentro la filosofia lo ha dato la nascita dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Qui, insegna Nicola Perullo, che per le sue lezioni e i suoi lavori di filosofia del gusto ed estetica del cibo è stato il primo filosofo in Italia ad occuparsi programmaticamente dell’argomento ed è diventato uno dei punti di riferimento di questo nuovo settore della filosofia.

Per Perullo, la filosofia del cibo è una materia trasversale. «Il cibo è un oggetto che riguarda molti ambiti della speculazione filosofica: esiste un’estetica del cibo, un’ontologia del cibo, un’epistemologia del cibo, e così via. Il tema vero è il contributo che può offrire una filosofia del cibo rispetto a quanto non venga già indagato in questo campo dalla storia alimentare, dall’antropologia culturale etc. Certamente è un campo filosofico per sua natura trasversale, aperto al rapporto con tutte le discipline».

Perullo sarà ospite di Pensare il cibo, venerdì 16 ottobre, per parlare di simbologia del cibo e consumismo. L’accostamento non è a caso. Il cibo è da sempre il primo oggetto dell’ostentazione sociale. L’abbondanza viene messa in tavola nelle cene di Capodanno, nei pranzi di matrimonio, ma anche nella vetrina del negozio di frutta e verdura o nel banco della macelleria. E’ qualcosa che sembra obbligatorio quando si deve mostrare il cibo.

«In realtà, a differenza di come è stato vissuta la simbologia del cibo dall’antichità fino a pochi decenni fa, il simbolismo quantitativo sta subendo una forte controtendenza proprio nelle società opulente. Ormai le classi colte e benestanti hanno smesso di consumare cibo ostentando l’abbondanza. Oggi, la stessa pinguitudine, un tempo abbinata al benessere, è sinonimo di menti poco raffinate e di classi basse. Mentre nel mangiare contemporaneo il cibo diventa status simbol quando può comunicarsi come simbolo di un consumo documentato o addirittura critico. Oggi il gastronomo non dimostra più di avere in tavola cibi o vini costosi ma disserta sulle tecniche produttive o sulle caratteristiche culturali dei cibi».

Ma allora per eliminare per sempre dall’immaginario il consumismo ostentato del cibo, basterebbe riuscire a rendere “ostentabili”, cioè immediatamente mostrabili, i messaggi culturali che un cibo può racchiudere… «Il problema è che il cibo è per sua natura fortemente “pop”. Il cibo è talmente necessario che appare ovvio e la sua conoscenza è sentita come alla portata di chiunque abbia avuto una mamma che gli faceva da mangiare. A differenza dell’arte o della musica, nessuno è disposto a mettersi nelle mani di un esperto di patate, di riso o di carne di pollo. Prima si deve arricchire il lato pop del cibo con una diffusione della cultura del cibo».

Il consumismo è desiderio del superfluo. E’ possibile fare leva sull’educazione al gusto per via via allontanare dalle menti quello che per la decrescita e le teorie comunitaristiche è il vero tarlo dell’occidentalizzazione del mondo? È possibile, attraverso il cibo, educare la razza umana a non vivere al di sopra delle proprie possibilità? A non consumare più del necessario e più di quello che le risorse del pianeta ci consentono?

«Il cibo può essere un mezzo molto importante per approcciarsi all’arte della vita. Sia l’atto del cucinare che quello dell’introduzione del cibo nel nostro organismo ha effetto sul nostro corpo così come sul nostro spirito. Il piacere della preparazione del cibo e della condivisione del cibo possono essere elementi importanti per la costruzione di un senso di pienezza del vivere. Anche perché, come si diceva, ormai il consumo è la rappresentazione più superficiale. Molto più ricercati sono, semmai, gli aspetti significanti che stanno dietro le scelte alimentari. In questo senso il cibo è un prisma con cui guardare molti aspetti della realtà. Direi che è il momento per usare la nostra alimentazione per costruire nuovi universi simbolici e nuove identità che ci rendano più partecipi delle scelte che possono influire sulle nostre vite e su quelle delle generazioni future».

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