FFF di Masterchef: «Troppo spesso il cibo è un rifugio, invece soddisfa un desiderio»

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Di Massimiliano Borgia

Federico Francesco Ferrero, è noto al grande pubblico per avere vinto la terza edizione di Masterchef Italia nella stagione 2013-2014. In TV cucinava ma, in realtà, il torinese Ferrero, è consulente nutrizionista. Con questa veste sarà ospite di Pensare il Cibo giovedì 27 ottobre 2016 nel dibattito dedicato alla passione-cibo e alle ragioni profonde dei disturbi alimentari.

Dunque, il personaggio decollato con Masterchef che ora è anche apprezzato critico gastronomico è soprattutto un professionista che si trova a doversi confrontare con i suoi pazienti. Nella sua multiforme esperienza sul cibo come trova che stia cambiando il nostro rapporto con il nutrimento?

«Oggi abbiamo tutti a disposizione una maggiore informazione a proposito del cibo, ma questo non significa che ci sia una maggiore consapevolezza sulla nostra alimentazione. Quello che è un vero e proprio eccesso di dati a cui possiamo accedere non si traduce in una profondità di conoscenza. Anzi, il cibo è spesso un rifugio, un disimpegno, un’occasione di sfuggire il dialogo con l’altro»

Nella sua esperienza di medico trova che i casi di disturbi alimentari siano in aumento? E per quali ragioni?

«I disturbi alimentari, in senso lato, non credo siano in aumento, probabilmente aumentano le diagnosi. Invece sono in aumento le condotte border-line, influenzate dalle abitudini sociali, che portano all’iper ingestione di alimenti e alcolici».

Quando si diagnostica anoressia o bulimia, sono sempre presenti delle cause, diciamo… esistenziali? E in questo caso, quali altre figure potrebbero aiutare meglio il medico a colpire alla radice il disturbo alimentare?

«Il peso è un sintomo, non una malattia. Un sintomo di insoddisfazione, di mancato riconoscimento del desiderio, di incapacità di incontro con l’altro. Solo la sinergia tra la clinica medica e quella psicanalitica può riuscire a cogliere contemporaneamente la dimensione della soddisfazione, dell’educazione alimentare e della guarigione».

Il cibo si ama o si odia, in ogni caso, sembra che non ci lasci mai indifferenti. Sembra che non possiamo mangiare e basta. Al nutrirci dobbiamo sempre dare significati più complicati… Lei trova che la maggior parte delle persone abbia un cattivo rapporto con il cibo?

«Le implicazioni dell’atto del mangiare, fin dalle epoche più ancestrali, hanno a che fare con la riproduzione, la sottolineatura di strutture sociali, la sottomissione e l’affermazione del sé. Sono queste strutture ad essere in crisi, e con esse il rapporto con il cibo».

A questo proposito sembra che stiamo insegnando anche alle nuove generazioni le nostre fobie verso il cibo: se un bambino fa assaggiare un pezzo di panino al compagno di classe si evoca subito la possibilità di rischio uno shock anafilattico, mentre alle mense scolastiche gli addetti che servono il cibo ai bambini sembrano infermieri in una sala operatoria…

«L’invenzione del cibo come pericolo o come nutrimento mette la società al riparo dalla possibilità di cogliere in esso l’opportunità della soddisfazione, della soddisfazione del desiderio. E’ una società senza inconscio quella a cui stiamo assistendo».

E allora, come andrebbe rappresentato dai media correttamente il cibo, come una cosa a cui fare attenzione o una cosa di cui godere?

«Il concetto di godimento meriterebbe un discorso a parte. Credo che il cibo andrebbe presentato come un’opportunità di soddisfare un desiderio. Quello del gusto. Che ha radici antiche, profonde, sorprendenti».

 

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