Ferrero, “La distruzione di una cultura alimentare porta all’anestesia intellettuale”

Pensare il Cibo 2016 varie (10)

Di Massimiliano Borgia

Federico Francesco Ferrero, il medico nutrizionista che è anche “foodteller” per La Stampa, sarà relatore alla seconda serata di Pensare il Cibo, mercoledì 25 ottobre, per parlare di culture alimentari.

In questa occasione si cercherà di capire come le culture e le tradizioni alimentari nascano anche oggi, giorno per giorno.

«Il motore principali della nascita di tradizioni alimentari è la moda – osserva Ferrero – Sia questa dovuta al seguito di una personalità influente all’interno di una piccola comunità (un cuoco, un notabile, un’istituzione religiosa, un sovrano), sia questa dovuta all’effettiva abbondanza o disponibilità di materie da smaltire o conservare. Nei tempi più moderni la moda è dettata ugualmente dalla voglia di imitare le abitudini di un “personaggio”, che oggi però viene conosciuto, tramite i nuovi media, a livello globale. Avete presente le foto su Instagram di Belen che mangia il sushi?»

Perché si consolidano tradizioni alimentari che non fanno bene? 

«Perché gli esseri umani ragionano sempre di più sull’immediato, mentre gli effetti di un’alimentazione scorretta si vedono sul lungo periodo, come i danni provocati da una cattiva educazione o da una gestione irrispettosa dell’ambiente, del mare, dell’atmosfera».

Il nostro corpo ci avverte se qualcosa non ci farà bene una volta diventato alimento anche se non è strettamente velenoso? E se ci piace, in un certo senso, fa bene?

«Dichiarare “mi piace-non mi piace” ha soprattutto a che fare con la convinzione e la convenzione, e poco con il gusto che, a livello di percezione cosciente, necessita di essere educato. A livello inconscio invece i messaggi del corpo sono chiari, e chiunque sa benissimo che mangiare un chilo di gelato di fronte alla televisione produce delle conseguenze di salute molto negative, e che il corpo presenterà il conto di queste abitudini scorrette».

Perché oggi dimentichiamo le nostre tradizioni alimentari e cediamo al sincretismo del cibo?

«Come molti si vergognano di parlare dialetto, così hanno un problema con le radici gastronomiche. Il problema dell’appartenenza a un gruppo etnografico e la tutela rispettosa e della tradizione vengono immediatamente bollate come oscurantismo o razzismo. Il mercato globale ha bisogno di una società multiculturale, senza radici, dove l’unica appartenenza si possa esprimere con il possesso di un oggetto, con l’atto economico: comprare o non comprare».

Abbiamo perso una cultura alimentare e dovremmo recuperarla? O semplicemente non serve più?

«Cultura ha la medesima etimologia di agricoltura: coltivare, accudire, seguire l’evolversi delle stagioni e del pensiero. In un mondo che non desidera più individui pensanti ma consumatori senza inconscio, la distruzione della cultura alimentare è un ottimo tramite verso l’anestesia intellettuale».

Quali sono i mali più diffusi nelle culture o non culture del cibo di oggi? Le storture che dobbiamo imparare a correggere con una nuova educazione alimentare?

«La perdita di cultura alimentare, anche di base, che riguarda la produzione, la preparazione e il consumo del cibo nella quantità adatta a nutrirsi e non in misura dieci volte superiore per metà della popolazione e in misura della metà del fabbisogno, per l’altra metà, porterà, come conseguenza, all’epidemia metabolica (obesità, diabete, scompenso cardiaco). Oltre a un’epidemia dilagante di infelicità, nel gusto».

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