Il teologo Bignami, «L’uomo non domina la natura, ma è al suo servizio»

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Bruno Bignami è uno dei teologi italiani che sta indagando il rapporto tra la Parola di Dio (i testi sacri) e le

tematiche della sostenibilità.

Presidente della Fondazione dedicata a don Primo Mazzolari, Bignami sarà ospite di Pensare il Cibo nella

serata dedicata alla società dell’abbondanza e agli sprechi alimentari, il 7 novembre al Borgo Medievale del Valentino di Torino.

Don Bignami si occupa di teologia morale, quel ramo della teologia che indaga il rapporto tra la fede e l’agire umano. Ma è conosciuto per il suo pensiero ecologico.

  Il fatto che un teologo si occupi di ecologia e sostenibilità è una novità degli ultimi anni, impensabile fino a qualche decennio fa. E, in un certo senso, il lavoro di Bignami offre oggi alla Chiesa importanti argomenti per accreditarsi come uno degli attori fondamentali nella partita del futuro del pianeta.

«Nel mio percorso di riflessione su beni comuni, sull’ecologia e sulla sostenibilità è stato fondamentale il lavoro svolto con le Acli e il rapporto con monsignor Luigi Infanti, vescovo del Vicariato apostolico dell’Aysén in Cile e primo vescovo al mondo ad avere scritto una lettera pastorale su questi temi», ricorda Bignami.

Un interesse che colmava un vuoto nel magistero della Chiesa.

«Per la teologia morale, affrontare la questione della sostenibilità significa sempre interpretare la Sacra Scrittura per capire qual è il progetto di Dio sull’umanità».

La tradizione interpretativa più diffusa è quella narrata nel libro della Genesi dove Dio affida il creato all’uomo.

«Su questo “affidamento” si sono basate le interpretazioni che hanno giustificato lo sfruttamento delle risorse perpetrato in epoca moderna. Ma secondo una lettura più profonda la Genesi parla di custodia delle risorse ambientali come beni in sé. Non è una differenza di poco conto: se Dio affida all’uomo la Creazione cosa vuol dire per l’uomo stesso? Che Dio vuole il dominio dell’uomo sulla Natura? Oppure bisogna capire fino in fondo cosa vogliono dire le Sacre Scritture».

E cioè? Secondo Bignami qual è l’interpretazione moderna del rapporto biblico tra uomo e natura?

«Quando la Bibbia parla della figura del re non lo pensa come un sovrano assoluto o un despota. Lo immagina come un pastore che ha un ruolo di guida e di servizio: il termine corretto è “responsabilità”.

Ecco il punto, attraverso la Parola della Bibbia Dio affida all’uomo non la supremazia sulla natura ma la responsabilità della creazione che gli è donata. In questo modo l’uomo non domina ma si “mette al servizio” di ogni forma di vita».

Eppure la tradizione cristiana prevede che ogni realtà creata sia in funzione dell’uomo…

«Diciamo che ogni realtà creata ha un senso perché è uscita dalle mani di Dio. Ed è dalla fine degli anni ’60 che un fecondo filone di pensiero attribuisce proprio alla fede cristiana la crisi ambientale del pianeta. Fu lo studioso statunitense Lynn White che in un articolo su Science (n. 155, pagg. 1203-1207 del 1967 ndr) lanciò questa visione: la fede cristiana avrebbe concesso all’uomo quella centralità che sarebbe poi diventata sfruttamento. C’è poi l’idea che questa visione antropocentrica abbia portato alla desacralizzazione della natura.

Oggi, grazie anche a questa accusa contro la tradizione cristiana si tende a “risacralizzare” la Natura, come facevano i culti precristiani…

«Diciamo che c’è un ritorno alla Madre Terra da cui tutto proviene o a una Terra Madre come si preferisce dire oggi, ma se c’è stata una desacralizzazione questa deriva fin dalle prime riflessioni del filosofi presocratici. E non è vero che il cristianesimo avrebbe distrutto la visione ciclica derivata dalla natura per abbracciare una visione lineare che ha giustificato il progresso. Nel testo biblico c’è anche una visione ciclica (si veda ad esempio il libro sapienziale di Qoelet), e non è vero che l’uomo è chiamato ad accogliere il creato e le sue le “risorse naturali” come una proprietà bensì come “dono”».

Eppure è proprio dell’uomo non pensare troppo alla “custodia” ma allo sfruttamento incosciente. È l’uomo che ricerca sempre e comunque l’abbondanza, soprattutto nella disponibilità di cibo. Anche nei Vangeli si blandisce questo desiderio e parla sempre di “moltiplicazione”.

«Non è così. Nei Vangeli il cibo è sempre necessariamente condiviso. Lì sta l’abbondanza. Quando si invoca l’abbondanza, essa è sempre frutto della condivisione. Se nell’Antico Testamento si stigmatizza l’adorazione dell’abbondanza del Vitello d’Oro che non a caso non si può mangiare, nei Vangeli la moltiplicazione dei pani e dei pesci, o l’episodio delle nozze di Cana sono a beneficio dell’intera comunità. Il tema della fame nel mondo per la Chiesa sta tutto qui. Occorre mettere mano al tema dell’accesso al cibo per tutti. Se pensiamo che la fame nel mondo si affronti solo producendo di più non affrontiamo la questione cruciale della condivisione cioè della distribuzione equa del cibo che produciamo. I Vangeli narrano per ben sei volte l’episodio della moltiplicazione dei pani che si risolve in abbondanza per tutti: non è un caso che sia il racconto più trasmesso dai quattro evangelisti. L’abbondanza nella Bibbia è un’abbondanza relativa alla fraternità e non fine a se stessa. Se c’è il pane, c’è sempre anche l’invito a spezzare il “pane” e a condividerlo».

E allora la risposta evangelica al bisogno di abbondanza nell’uomo?

«È molto semplice ed anche la risposta più ecologica e più sostenibile: condividere quel che abbiamo sulla terra, condividere i beni, che in quanto al servizio della vita di tutti, sono comuni».

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