SImone Pollo, «L’ambientalismo non è per forza antispecismo»

Simone Pollo

Simone Pollo, ricercatore di filosofia morale presso l’Università La Sapienza di Roma, è uno dei filosofi che più si stanno occupando della “questione animale”.

Intellettuale conosciuto nel mondo ambientalista è presente da tempo sul web anche con alcune videoclip sul sito di Rai filosofia (cfr. http://bit.ly/1w4Y4EZ ) con i suoi interventi proprio sul tema dei diritti animali.

Per questa sua competenza sarà ospite di Pensare il Cibo la sera del 6 novembre al Borgo Medievale del Valentino a Torino a parlare di “Mangiare il vivente. Il dibattito tra onnivorismo e vegetarianesimo”.

Pollo dimostra che si può partire dagli studi di filosofia morale per occuparsi di animali e trovarsi a dover dirimere una delle questioni più sentite nel mondo occidentale: se sia, appunto, giusto mangiare gli animali.

«Gli studi di filosofia morale sono determinanti per comprendere il senso del nostro rapporto con gli animali e la questione sullo sfruttamento degli animali da parte dell’essere umano» osserva Pollo.

Certo, il tema nasce da una “sensibilità”, una “vicinanza” istintiva sempre più sentita verso gli animali, magari poco meditata, ma anche l’interesse degli studi filosofici sta crescendo verso questo ambito, prima quasi esclusivamente “affettivo”.

Da semplice “zoofilia” la questione è passata alle filosofia anche grazie all’impegno di Peter Singer, il teorico della “liberazione animale”, che è il filosofo di riferimento dei movimenti animalisti “liberazionisti”. Singer considera Uomo e Animale detentori di interessi simili e che meritano uguale considerazione. Anzi, afferma che è il concetto di “specie” ad essere un vecchio arnese del passato, proponendo appunto una visione “antispecista”.

«In realtà, non è una questione del tutto nuova per la filosofia. Se da una parte Aristotele pensava che gli animali non facciano parte della comunità morale e politica, già Pitagora, Porfirio e Plutarco parlavano di scelta vegetariana. C’è però da dire che la scelta di non mangiare carne, se è presente nella storia della filosofia è perché è spesso associata più all’idea di uno stile di vita umano che non al riconoscimento di un diritto alla vita dell’animale. Anche il moderno vegetarianesimo ha molto a che fare con il prendersi cura di sé, c’entra con una propria visione di se stessi, e non solo con il riconoscimento di uno status preciso all’animale».

Anche perché la storia del rapporto della specie umana con il mondo animale è molto più complesso di come lo vedono quelle forme di antispecismo che sostengono la necessità di liberare gli animali.

«Il riconoscimento degli animali come esseri senzienti è sicuramente una ragione valida per includerli nella “sfera morale”, ma questo non implica automaticamente il riconoscimento di un loro diritto assoluto alla vita. Al di là delle argomentazioni e delle teorie filosofiche, possiamo osservare nel senso comune una varietà di sfumature sul modo in cui includere gli animali nel cerchio della considerazione morale, a partire dal riconoscimento della loro natura senziente. L’idea, ad esempio, che gli animali possano essere allevati per diventare cibo, ma che ciò debba avvenire tutelandone al meglio il benessere (diversamente da come avviene in certe forme di allevamento industriale) è un modo di avere attenzione morale per gli animali. Si può discutere, ovviamente, se sia il modo migliore e più giusto, ma credo sia sbagliato e controproducente pensare che queste forme di attenzione siano in realtà ipocrite e semplicemente insufficienti. Tanto in filosofia quanto nella sfera pubblica, il discorso morale sugli animali non si gioca sulla polarizzazione fra esclusione assoluta e inclusione assoluta (come nel caso dell’etica della Liberazione animale). Fra questi due poli ci sono molte forme intermedie di attenzione morale che caratterizzano il senso comune morale e delle quali l’etica filosofica dovrebbe occuparsi.

Nel nostro rapporto con gli animali gioca un ruolo decisivo la crescita del fenomeno degli animali d’affezione insieme alla critica verso gli allevamenti intensivi degli animali che si portano dietro la preoccupazione sugli aspetti sanitari: perché non si sa come vengono trattati e macellati gli animali e tutto avviene in un mondo coperto sempre da un grande velo di omertà.

Ma non è solo per una mancanza di trasparenza nel mondo degli allevamenti che sta andando in crisi l’onnivorismo.

«Nella scelta delle persone di non mangiare più carne spesso si mescolano diversi tipi di motivazioni. C’è l’attenzione per la salute, la consapevolezza dell’impatto che ha la produzione di carne sull’ambiente e l’attenzione morale per la sofferenza degli animali e il modo in cui vengono allevati e uccisi per produrre cibo. Al di là dell’equilibrio che queste diverse motivazioni trovano nei singoli individui che diventano vegetariani o vegani, possiamo dire, più in generale, che oggi il cibo è diventato un modo per prendersi cura di se stessi. In questo modo l’alimentazione sta diventando una parte importante dell’identità delle persone».

Per Pollo l’ambientalismo non deve essere per forza anche antispecismo.

«È evidente che un certo tipo di sviluppo comporta uno sfruttamento industriale ed intensivo degli animali che non si sa fino a che punto possa reggere. Ma il dilemma è: possiamo fare a meno di una produzione industriale di cibo se vogliamo sfamare il pianeta? Allora, anche se l’ambientalismo, per sua natura tende a presentarsi come una forma di antiantropocentrismo e, quindi, di antispecismo, non ci si può dimenticare che anche l’attenzione per l’ambiente nasce da preoccupazioni che sono del tutto umane, come quella sulle condizioni in cui lasceremo il pianeta alle generazioni future. Ciò che ci si presenta in modo immediato, quindi, è il conflitto fra esigenze che sono anzitutto umane, come l’accesso al cibo o al progresso tecnologico e il diritto dei nostri figli e nipoti di non vivere in un ambiente irrimediabilmente corrotto. È difficile pensare a una preoccupazione per l’ambiente che non prenda l’avvio da un punto di vista e da interessi umani».

Ma se guardiamo alla natura selvaggia (animali, vegetali, paesaggio) scopriamo che il conservazionismo mette alla prova l’antiantropocentrismo e l’antispecismo. Al centro c’è sempre il ruolo dell’essere umano, cioè della specie che deve prendersi cura di tutto il complesso ambientale.

«Il nostro punto di vista è sempre e inevitabilmente antropocentrico. Inoltre, se fossimo darwiniani fino in fondo davvero dovremmo capire che l’estinzione fa parte della storia della Terra e che le estinzioni che causiamo noi esseri umani sono parte del meccanismo “naturale” tanto quanto le estinzioni causate da fenomeni ambientali indipendenti dall’essere umano. Il fatto che l’Homo sapiens abbia tecnologia e cultura non lo colloca al di fuori dei meccanismi darwiniani. A noi, però, interessa (giustamente) evitare la nostra estinzione e quella dell’ambiente naturale che apprezziamo. Ed è questo ciò che cerca di evitare l’ambientalismo. Con l’ambientalismo vogliamo che sia tutelato uno status quo ambientale che è quello che hanno conosciuto le generazioni prima di noi e che conosciamo oggi. Quando pensiamo alla necessità di conservare la Natura abbiamo dell’essere umano a cui è affidata la custodia dell’ambiente, una visione inevitabilmente antropocentrica. Non è una Natura vista da un punto di vista assoluto e imparziale quella che ci interessa tutelare. Questo punto di vista non esiste. Ci è inaccessibile. Quella che vogliamo conservare è la natura così come entra nel nostro punto di vista umano e fa parte dei nostri interessi».

 

 

 

 

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