Bodei, il liberismo si combatte rafforzando le istituzioni

Remo Bodei risistemata alta defin

I principi contenuti nella Carta di Milano, il documento-appello che rappresenta l’eredità di Expo, è una lista di buoni propositi che non affronta la radice del “problema fame”. La Carta non tocca i presupposti veri della questione alimentare.

«Nella Carta di Milano, frutto di un lavoro che Salvatore Veca ha, comunque, ben coordinato, manca un’analisi (e, forse, non era previsto come suo compito) sul perché il cibo oggi non è per tutti. E, secondo me, le ragioni sono da ricercare nel modello di sviluppo. Non si può affrontare il problema dell’equa nutrizione del pianeta senza interrogarsi sul modello economico che dovrebbe garantire il diritto al cibo».

Remo Bodei, professore di filosofia all’University of California at Los Angeles, ospite di Pensare il cibo sabato 17 ottobre, avrebbe voluto più coraggio da una Carta che elenca gli obiettivi planetari per garantire un cibo sufficiente e sano per l’umanità.

«Lo squilibrio tra consumi del mondo occidentale e povertà del resto del mondo trova la sua forma più evidente nella diversa disponibilità alimentare. In Occidente viviamo una forma di consumismo esasperato la cui cifra è lo spreco, che contrasta con l’assenza di cibo sano nel resto del mondo. Un divario viene da lontano connesso alla storia stessa della società capitalistica. Il consumismo fu una vera e propria invenzione del della seconda metà dell’Ottocento per scongiurare le crisi da sovrapproduzione delle società industriali. L’assunto era: se non si produce non si consuma ma se non si consuma la società si autodistrugge. Il problema era quindi garantire a strati sempre più larghi della società l’accesso all’abbondanza e al superfluo, cioè dare corso a quella “democraticizzazione” del lusso che serviva ad accorciare il gap tra sovrapproduzione e sottoconsumo. L’esito maturo è stata l’invenzione, nel 1949, della carta di credito e di forme di accesso al mercato del denaro sempre più raffinate. Così, nelle società occidentali siamo arrivati a un soddisfacente accesso ai beni di consumo. Ma oggi quel modello si è inceppato e, di fronte al saccheggio delle risorse, alla desertificazione e alla catastrofe ambientale, si impone un nuovo modo di produrre e consumare che guardi alla salvaguardia dei beni comuni».

Insomma, nel mondo occidentale, il livellamento verso l’alto dei consumi si è portato dietro l’impoverimento delle risorse nel mondo, specie in quello non sviluppato. La globalizzazione ha quindi reso più pressante il problema delle risorse ma per Bodei non sono credibili le alternative che puntano sull’economia di comunità. E questo sarà la tesi che lo vedrà contrapposto nella serata del 17 ottobre a Stefano Zamagni.

«Diciamo pure che la globalizzazione è irreversibile. Allora il problema è semmai attrezzarsi per ridurne gli effetti negativi. La globalizzazione non si combatte con il suo opposto simmetrico, cioè con la retorica delle radici e della comunità. Questa è solo una ricetta di chiusura. E nemmeno la decrescita felice, che propone l’abbondanza frugale, è una soluzione applicabile. Il raggiungimento del benessere in paesi come l’Italia o più ancora come la Cina e l’India è talmente recente che nessuno si accontenterebbe più della convivialità o del valore del dono. Quello che invece si può fare è combattere con altri mezzi gli effetti perversi della globalizzazione. Non è connessa necessariamente alla globalizzazione, ad esempio, la proprietà privata delle sementi. Così come Allo stesso modo, non dobbiamo rassegnarci allo strapotere finanziario come conseguenza inevitabile: non è detto che il dominio del mercato sugli stati sia per forza il nostro destino. Quello che serve, semmai, è il rafforzamento delle istituzioni politiche, in modo che tornino a tenere testa alla finanza».

Per Bodei il capitalismo si è impuntato nel volere smantellare lo stato sociale ed eliminare ogni funzione dello stato nell’economia e della vita sociale. «Ma così facendo sta segando il ramo dove è seduto. Se si tagliano gli elementi di solidarietà sociale ad iniziare dal welfare, il capitalismo, per dirla con Schumpeter, perirà per il suoi successi. I liberisti non capiscono che le istituzioni sono vitali per il capitalismo: se si uccidono le istituzioni pubbliche muore anche il capitalismo».

Quale filosofia politica deve essere alla base di questa “riscoperta” del valore collettivo delle istituzioni, quel valore che, secondo Bodei, può risolvere anche lo squilibrio alimentare nel pianeta? «Da questo punto di vista offre uno spunto l’articolo 3 della nostra Costituzione, dove si dice che la Repubblica rimuove gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo del personalità degli individui, è ancora una miniera di principi. Se le istituzioni e la politica sono permeate di giustizia, equità e non trasmettono invece un’immagine di sé come contenitori di privilegi e dispensatori di oppressione la comunità si armonizza da sola. Se le istituzioni, per dirla con Croce, non si limitano a mostrarsi come dei caciocavalli appesi al soffitto, estranee e autoreferenziali, ma fanno partecipi di sé i cittadini, allora le persone si avvicinano a esse. Per questo dico che la riscoperta della comunità va benissimo ma bisogna tenere presente che la comunità non si regge sul calore animale che emana ciascun individuo: sono gli obiettivi comuni che la cementano. E tra questi obiettivi ci sono certamente i principi contenuti nella Carta di Milano, cui però occorre dare sostanza e concretezza».

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