Filippo Tommaso Marinetti. Nel 1931 il vulcanico artista rende pubblico il suo manifesto della cucina Futurista.
Il dinamismo della vita moderna non deve risparmiare neppure il mondo gastronomico. La cucina futurista vuole impedire che la figura umana assuma forme cubiche e massicce, e in nome dell’agile fluidità predilige silhouette slanciate, tenaci ed eroiche. Marinetti invita i chimici a creare nuovi sapori e pillole, contenenti tutti i nutrimenti necessari. Condanna gli agglomerati amidacei, come la pastasciutta, responsabile di ingenerare “pessimismo, inattività e neutralismo”.
Anche la terminologia, soprattutto quella di origine straniera, dev’essere rivoluzionata: il cocktail deve chiamarsi “polibibita”, il sandwich “traidue” e il dessert “peralzarsi”. Insomma, la visione di Marinetti è lontana dalla prospettiva dello slow food.
Nella cucina futurista dominavano gli additivi e i conservanti, e in tutto quel turbinio di triturati, polverizzati ed emulsionati un bel robot avrebbe completato il quadro.
L’odio di Marinetti per la pastasciutta: «ingenera pessimismo e inattività»
