L’infinita attività finita di Nicola Abbagnano

Abbagnano

Iniziamo con una scheda su Nicola Abbagnano una breve rassegna dei maestri della scuola filosofica torinese, una scuola che abbiamo già delineato nel suo complesso.

Nicola Abbagnano, nato a Salerno nel 1901, dopo essersi lau­reato nel 1922 e aver conseguito nel 1927 la libera docenza di Filosofia nell’Università di Napoli, ha ricoperto l’incarico di Pedagogia nell’Istituto Superiore di Magistero “Suor Orsola Benincasa” dal 1927 al 1936.

Ha quindi tenuto la cattedra di Storia della filosofia all’Università di Torino, prima a Magistero e poi nella facoltà di Lettere e filosofia, dal 1936 fino al 1976. Nonostante che fosse allievo di Antonio Aliotta, avversario dell’idealismo, ha subìto fortemente l’influenza dell’idealismo attualistico di Giovanni Gentile.

Che cosa significa? Per Gentile, possiamo trovare la verità solo se non ne facciamo un dato da registrare passivamente, ma la pensiamo come un’attività, un atto dell’intelligenza, cui partecipiamo tutti insieme.

Abbagnano corregge questa tesi di Gentile nella direzione della fini­tezza del pensiero, della tentatività delle sue acquisizioni e della rimozione di tutti gli aspetti necessaristici. Non è il pensiero a vivificare le cose del mondo, secondo il principio dell’idealismo: il principio della vitalità è invece il mondo stesso, che genera eventi e possibilità sempre nuovi.

Il principio della conoscenza e dell’azione è quindi di scegliere quella possi­bilità che non rende se stessa impossibile nel futuro.

Dopo aver cercato con­ferma di questi caratteri del pensiero nella metodologia con­temporanea delle scienze, ha incontrato alla fine degli anni ’30 i temi dell’esistenzialismo tedesco, ne ha dif­fuso la conoscenza e li ha interpretati secondo la propria pro­spettiva: un attivismo della finitezza. La stessa proverbiale capacità di lavoro di Abbagnano attesta questo principio del suo pensiero.

Oggi le storie della filosofia, e i dizionari, sono opere collettanee. Abbagnano ha attraversato da solo l’intera millenaria produzione filosofica.

Negli anni ’50 ha proposto di questo attivismo della finitezza una nuova versione, intendendo l’attività filosofica come approntamento, con gli strumenti delle scienze naturali e storico-sociali, di soluzioni determi­nate a problemi determi­nati. Con ciò ha incontrato le intenzioni di quanti si ricono­­scevano nel programma neoilluministico della “Rivista di Filosofia” fondata a Torino in quegli anni: usare la ragione criticamente, costruirla nella fi­­nitezza e ripudiarne le pretese assolute, perseguendo “l’umanizzazione del mondo”. Anche il Centro di Studi Metodolo­­gici di Torino – alla cui attività Abbagnano ha parte­cipato sin dalla fondazione – si iscriveva al me­­desimo programma, rivalutando il sapere scienti­fico contro l’idealismo di Croce e Gentile.

Sicché Geymonat (l’artefice della rina­scita degli studi metodologici), Bobbio (condirettore con Abba­gnano della “Rivista di Filosofia”) e anche Pietro Chiodi, al­lievo e amico di Abbagnano, possono essere accomunati a quest’ultimo come fautori di una ragione laica, costruttiva e limitata.

Le principali opere di Abbagnano : Le sorgenti irrazionali del pensiero (1923); La fisica nuova. Fondamenti di una nuova teoria delle scienze (1934); Il principio della metafisica (1936); La struttura dell’esistenza (1939); Introduzione all’esistenzialismo (1942); la famosa Storia della filosofia in 3 voll. (1946-1950); Filosofia Religione Scienza (1947); Esi­stenzialismo positivo (1948); Possibilità e libertà (1956); Problemi di sociologia (1959); il Dizionario di filosofia (1961). Abbagnano è morto a Milano nel settembre del 1990.

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