L’imam Pallavicini: «Nell’Islam le regole sul cibo sono fondamentali, collegano l’uomo a Dio»

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Di Massimiliano Borgia

 

Questa sera alle 18 nella serata su cibo e religioni si sarà una rappresentanza prestigiosa del mondo islamico. Sui precetti alimentari del mondo islamico porterà un importante contributo l’imam Yahya Pallavicini, del Coreis (Comunità Religiosa Islamica italiana).

Sarà interessante capire, attraverso la sua testimonianza, come nell’Islam si è costruita un’identità così forte intorno al cibo, un’identità alimentare che non ha riscontri nel Cristianesimo, e non li ha mai avuti, nemmeno quando i buoni cristiani rispettavano regole alimentari “religiose”.

Imam Pallavicini i precetti alimentari per l’Islam perché sono così precisi e vincolanti?

«Le regole alimentari nell’Islam sono prima di tutto elementi di una disciplina religiosa e spirituale il cui scopo è ricollegare l’uomo a Dio. L’uomo, nella sua forma spirituale, psichica e corporea, ha bisogno di nutrire il suo corpo assimilando quelle qualità o sostanze che siano al tempo stesso lecite (halal) e buone (tayyib). Anche le azioni e l’approccio che si può avere in questi atti naturali, quali il mangiare e il bere, possono essere proficue o dannose dal punto di vista sia esteriore (salute, gusto) sia interiore (trasparenza, conoscenza)».

E’ per la loro “sacralità intrinseca che sono sopravvissuti alla laicizzazione e cristianizzazione tentata con il colonialismo e all’attuale società secolarizza dove prevalgono le logiche dei mercati?

«E’ vero che nel mondo islamico, così come in generale nelle tradizioni orientali,

persiste un’attenzione ancora molto forte alle forme della pratica rituale e dell’osservanza della Legge sacra, a confronto con il mondo cristiano occidentale. Tuttavia non sempre questa attenzione alle forme si accompagna a una reale conoscenza o funzionalità di questi sostegni nella vita dei credenti.

Le logiche dei mercati non sono contro o a favore le discipline spirituali, le leggi religiose, le norme etiche, almeno fino a che non vengono prese come valore in se stesse anziché essere viste come aspetti relativi di un contesto più ampio. Capita per esempio che lo scopo del mercato (scambio e compartecipazione di beni e conoscenze) divenga il profitto, o il consumo, o la moda, a discapito di valori etici universali. Queste situazioni possono addirittura anche ricoprirsi di una veste di formalismo religioso. Si tratta sempre della strumentalizzazione, forse non violenta, dei simboli e delle regole di una religione per fini che non sono la salvezza dell’anima e la conoscenza di Dio».

L’alimentazione ha contribuito a rafforzare il senso religioso nell’intero mondo islamico? O l’identità religiosa alimentare è sentita più da alcune correnti?

«La religione si basa sulla fede in Dio e sul riconoscimento della profezia, la quale si manifesta con una successione di Rivelazioni, di cui i precetti sono una manifestazione importante ma gerarchicamente subordinata a dimensioni più essenziali, come la fede, il timore di Dio, la conoscenza. Il credente non si identifica, né come uomo né come credente né come musulmano, con un suo particolare atto o con nessun particolare oggetto, fossero anche atti rituali o norme sacre. Il credente vive seguendo una disciplina rivelata da Dio e conosce nella loro qualità e nelle loro interrelazioni i cibi, le azioni, le astensioni, la vita, la morte e soprattutto Dio stesso.

Le regole alimentari sono le stesse per tutti i musulmani, con alcune necessarie differenze di dettaglio o applicazione, a seconda dei tempi e degli spazi in cui le comunità islamiche vivono».

I precetti alimentari attraverso la loro forza identitaria hanno aiutato ha rafforzare anche il consenso al passaggio da società laiche a società teocratiche guidate dalla legge di Dio? 

«L’osservanza di un precetto religioso costituisce un beneficio, nell’insieme di altri precetti, virtù, conoscenze, fin tanto che non viene associato o dissociato in maniera disarmonica rispetto all’insieme e alla finalità della Legge sacra e dei caratteri della Rivelazione nel suo complesso. Se così succedesse, si avrebbe a che fare con un idolo, un feticcio, il cui influsso non è neutro ma dannoso poiché alimenta l’illusione mondana o individualistica, come nel caso del popolo e della famiglia adottiva del profeta Ibrahim, come riporta il Sacro Corano».

Secondo lei perché nel Cristianesimo non ci sono vincoli alimentari così stringenti?

«Dio ha disposto che ci siano differenze provvidenziali tra gli uomini, le famiglie, i popoli e anche le Rivelazioni per provarci nella sfida di saper riconoscere e gestire questa ricchezza come riflesso della sua onnipotenza. Ci sono differenze rituali e teologiche che vanno rispettate, anche in religioni “sorelle” come Ebraismo, Cristianesimo e Islam. Per la mia conoscenza del Cristianesimo so che ci sono innanzitutto differenze, ad esempio la Chiesa ortodossa ha delle regole alimentari, diverse da quelle islamiche e da quelle ebraiche, ben precise. Nel Corano Sayyidna Isa, Gesù, viene presentato come un profeta cui Dio ha fatto il dono di una grazia speciale nel far discendere per i suoi discepoli una mensa celeste. Credo che i cristiani hanno l’opportunità di essere fedeli a questo dono straordinario e da questo possano trarre anche l’ispirazione per una disciplina, misura, gusto e beneficio anche nel nutrimento non strettamente rituale».

C’è la possibilità che l’economia occidentale venendo a contatto con i mercati islamici diventi più sensibile, più spirituale? O è una battaglia persa?

«Sì, è possibile, a patto che questo contatto non prenda la direzione del “mercato” o “supermercato delle religioni”. Il problema non è né dell’economia, né dell’occidente, ma di alcuni idoli quali il materialismo o il progresso scientifico e tecnologico indefinito, o, d’altro canto, il fanatismo o il formalismo religioso. Il mercato ha un suo scopo e un suo beneficio, e anche il Corano né parla, tuttavia non deve “entrare nel Tempio” o “distrarre dal ricordo di Dio” (Corano XXIV, 36)».

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