Il cibo come bene comune secondo Bignami

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Il cibo si può considerare un bene comune?
Quali valori stanno dietro alla condivisione?

Bruno Bignami affronta il tema dei beni comuni seguendo questa tesi densa e feconda: che nella relazione con le cose è implicata la relazione con le persone. Nella tutela dell’ambiente non è perciò in gioco innanzitutto la materialità della natura da proteggere, ma la qualità di relazioni che l’ambiente ci offre per il suo essere luogo di incontro con l’altro.

Il degrado dell’ambiente è degrado delle relazioni umane, e un contesto umano dimèntico della solidarietà, della convivialità e della giustizia corrompe l’ambiente.
Questa è la luminosa tesi che dovremmo ribadire ogni giorno, innanzitutto contro le mafie.

In un contesto politico-sociale sempre più debole nella percezione della res publica – in Italia, ma anche nell’intero Occidente –, l’auctoritas politica viene confusa con una qualsiasi impresa privata e con un qualche insieme di interessi di parte. Viene quindi meno una pronta distinzione tra il potere politico e l’appropriazione mafiosa. Ma quale miglior prova del degrado dell’ambiente nei luoghi delle mafie, per mostrare qual è la conseguenza visibile dei rapporti di prevaricazione che qualificano i poteri mafiosi?
Per la maturazione di una nuova coscienza politica l’autore sollecita il passaggio da un principio appropriativo a un principio di condivisione: un esodo dall’idolatria del consumo esclusivo, per andare verso i modi della cura e della gratuità.
Perché quanto sta dietro alle scelte ecologiche è un modello alternativo di società.
Si tratta di lavorare per costruire strutture di esposizione all’altro al posto di monadi centripete.

La redistribuzione planetaria delle risorse energetiche e la condivisione dei beni comuni sorgono senz’altro dalla testimonianza individuale, ma la testimonianza mira a strutture giuridiche, economiche e politiche.
Le strutture giuridiche dovrebbero ad esempio tutelare l’accesso al bene comune dell’acqua come un diritto e non solo come un bisogno gestito da interessi (p. 150).
Dovrebbero descrivere il cibo come bene culturale e non come merce (p. 84), e in generale mostrare che l’alternativa tra pubblico e privato come tra Stato e mercato è una falsa alternativa.
Le strutture economiche devono essere sollecitate ad abbandonare il quadro individualistico delle teorie neoclassiche, per il quale il mercato è il luogo della massimizzazione individualistica del margine di profitto nello scambio di beni, in un contesto di scarsità di risorse.
L’autore rileva come il neoliberismo soffra di un deficit di relazionalità (p. 170): occorre correggerlo tramite una nozione di mercato che faccia spazio a discernimenti comunitari (p. 199) e allontani le logiche di esclusione che accompagnano l’appropriazione soggettiva.

Le strutture politiche devono configurare una società globale di doveri e non solo di diritti (p. 153): una società che avverta un dovere e un debito rispetto a quanto si riceve dal mondo e rispetto alle generazioni future cui dobbiamo trasmetterlo. Una società di doveri è una società più democratica perché più attiva, essendo sollecitata alla responsabilità verso l’altro. Una società di soli diritti, che si è soliti intendere come la celebrazione dell’iniziativa del soggetto, genera invece la passività di tanti signori dispotici e consumisti, quali siamo diventati.
Le energie rinnovabili sollecitano una società nuova di tal fatta: promuovono la cittadinanza attiva, e una sorta di gioia dell’operare per una Terra che sia casa abitabile per ogni essere (p. 193). Il nucleare invece si palesa come insostenibile non solo nel suo profilo ecologico ma già nel suo essere calato dall’alto come un gravame: induce “sfiducia e rassegnazione a livello territoriale” (p. 190).
Bruno Bignami descrive così un’antropologia degli elementi del vivere, perché ciò che è elementare – come l’accesso ai beni vitali dell’aria, dell’acqua, della terra e dell’energia – oggi rischia sempre più di diventare il premium di qualche circolo di tesserati.
Occorre invece essere umani in modo elementare, cioè proprio nella relazione agli elementi della vita sulla Terra.

La tradizione biblica ha certamente desacralizzato quegli elementi, mostrando che Dio non è nel vento, nel fuoco o nella terra. Ma la desacralizzazione del cosmo pagano non mira a ridurre la natura a una risorsa da manipolare e da sfruttare. Ebraismo e cristianesimo fanno della creazione non già un modello di dominio sull’ente, come paventava Heidegger, ma il luogo di un’alleanza e quindi di una relazione con Dio e con gli altri (p. 52). Ogni realtà creata diventa simbolo di questa alleanza.
La relazione agli elementi della vita è relazione all’Altro (p. 103).
Se la relazione con l’altro precede, in linea di principio, il singolo individuo, se quindi siamo sin dall’origine espropriati di ogni autosufficienza sovrana, allora potremo pensare alla solidarietà e alla gratuità come alla nostra verità.
La ricchezza simbolica dell’acqua della vita, della terra che nutre, del soffio che ci anima, del fuoco che riscalda, deriva dalla loro gratuità, dal loro provenirci come doni. Quegli elementi sono simboli di una donazione: né realtà da assolutizzare, né semplici strumenti della nostra volontà di potenza (p. 53). Dobbiamo allora accogliere il mondo come da una donazione.
“Solo la formazione alla gratuità è un potente antidoto alla logica schiacciante del consumismo” (p. 201) e alla sua logica dell’esclusione.

Quanto è esclusivo non sta forse all’origine di quel desiderio di espulsione che oggi viene sollecitato da mille messaggi?
Fino al punto di deprecare la sovrappopolazione come causa della povertà? Vorremo quindi concedere la cittadinanza del mondo esclusivamente a chi oggi è presente, e lo è come consumatore efficiente?
Vorremo escludere chi verrà dopo di noi e oltre a noi, rompendo il patto tra le generazioni?
Vorremo poi escludere i consumatori difettosi? (p. 59, nota 69).
La teologia morale di Bruno Bignami sottolinea che il Vangelo insegna a guardare il mondo con gli occhi di chi si trova escluso.

BRUNO BIGNAMI, Terra, aria, acqua e fuoco. Riscrivere l’etica ecologica, Bologna, EDB, 2012.

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