Consulente filosofico, Torino culla di una nuova professione

La torinese Luciana Regina, consulente filosofico

La torinese Luciana Regina, consulente filosofico

La Torino filosofica è anche la culla di una nuova figura professionale: il consulente filosofico.

Sembra quasi un’invenzione di qualche intraprendete disoccupato che ha passato gli anni dell’Università chino sui testi di Kant, Hegel e Platone. Invece è una figura che inizia ad affacciarsi nel mondo delle imprese e in quello dei servizi alla persona.

Questa nuova professione nasce ufficialmente nel 1981 in Germania per iniziativa di un filosofo, Gerd B. Achenbach che, proprio quell’anno, apre il primo studio da filosofo “professionista”.

Negli anni ’90 il Philosophical councelor, si diffonde in tutto il nord Europa e nel mondo anglosassone, e contemporaneamente inizia, come in ogni inedita professione, il processo di definizione dei confini, reso a volte complicato dalla contiguità con altre figure. All’epoca è infatti già presente, soprattutto in ambito famigliare, scolastico e sanitario, il mediatore e il councelor di formazione psicologica, che supporta individui e gruppi su temi specifici o in passaggi  esistenziali problematici.  E’ il vasto mondo della “relazione d’aiuto”, e il consulente filosofico inizia a trovare spazi per la sua pratica là dove esiste già una domanda, rischiando però di generare confusione sulle competenze, i titoli e i metodi di approccio.

E proprio a Torino si tengono negli anni ’90 i primi corsi di formazione, con l’associazione AICF, per dare vita a questa nuova figura professionale. Un progetto nato inizialmente dalla collaborazione  fra docenti e laureati in Filosofia, psicologi e psicanalisti. Da divergenze di visione germineranno poi due altre realtà, dedicate alla formazione e alla promozione della figura professionale, Phronesis (www.phronesis-cf.com) e Sicof, (www.sicof.it) entrambe tuttora attive a livello nazionale.

Per questa nuova professione, che oggi vanta corsi universitari in mezza Italia (Torino compresa, dove c’è un corso di consulenza filosofica) c’è quindi una genesi torinese.

E non sono pochi i torinesi che iniziano a praticarla. Tra questi c’è Luciana Regina che, nell’ateneo sotto la Mole, insegna proprio “pratiche filosofiche per le organizzazioni” e che da 15 anni svolge questa professione.

Per Luciana Regina il consulente filosofico non deve confondersi con lo psicologo e non deve creare aspettative circa la possibilità di un’efficacia diretta su situazioni di malessere esistenziale più o meno severo. Per poter generare un valore aggiunto a partire dalle sue specifiche competenze, che sono filosofiche appunto e non psicologiche, il filosofo pratico deve intervenire sui processi di pensiero, migliorandone la qualità e il rigore. Questo può avvenire a livello individuale o di gruppo, in contesti organizzativi o non, ma l’essenziale è che siano subito precisati gli “oggetti” su cui lavorare, e che questi oggetti siano trasformati dal lavoro filosofico in temi, questioni, concetti e affrontati con il consulente-formatore in modo da valorizzarne la logica interna, la profondità, spesso la cogente portata etica, politica, sociale. Nelle aziende, dove è molto diffusa la formazione motivazionale e comportamentale, la figura del formatore filosofico può proporre un’alternativa interessante e provocatoria. Il suo intervento può agire a livello delle identità, delle culture professionali, dei linguaggi condivisi in modo spesso irriflesso e quindi inefficace, delle competenze da portare a definizione, dei valori, dei programmi, della progettazione condivisa. La sua forza e la sua specificità risiede nell’aiuto che uno sguardo esterno e un processo di revisione filosofica degli stili di pensiero diffusi può dare a distinguere ciò che è reale da ciò che è immaginario, i fatti dai desiderata, le velleità dai progetti fondati, il vero dal falso e dal finto, le identità che hanno un reale radicamento da quelle che vengono solo sbandierate senza essere mai state vissute. Un’azione che più che rivolgersi all’individuo si rivolge a soggetti plurali, ad iniziare dalle aziende, in cui evitare il gioco delle parti e fermarsi a ripensare le proprie pratiche è spesso essenziale per ripartire con passo più saldo. La condivisione portata a forza e di autorità non ha che l’apparenza della condivisione, e presto o tardi i nodi vengono al pettine. Dunque la filosofia non rinuncia alla sua vocazione originaria di amore e ricerca della verità e della  conoscenza.

«Io la chiamo semplicemente “pratica filosofica” – spiega la docente – durante la quale aiuto i gruppi a ricostruire i propri processi di pensiero e a mettere in discussione le convinzioni preconcette, le proprie posizioni ideologiche».

Così si scopre che se un’azienda deve introdurre nuovi sistemi di organizzazione o deve migliorare la qualità dei propri processi può provare a superare il tradizionale conflitto tra vecchio e nuovo, le normali resistenze che si scontrano con le spinte affrettate, facendo ragionare i gruppi di reparto o di settore sul significato di quello che si vuole costruire.

«L’utilità di uno specialista dell’argomentazione come un filosofo si capisce quando serve dipanare conflitti che si avvitano su parole chiave. La nostra capacità sta nel favorire il confronto tra i valori di riferimento dei componenti del gruppo, la presa di coscienza sulla realtà attraverso la riflessione sui concetti più che sulle parole. Un esempio classico è spiegare a un gruppo che in una riunione di lavoro non è utile argomentare a forza di esempi, il rischio è che le posizioni contrapposte si scontrino sugli esempi mentre non viene affrontato il “concetto”».

Dunque un lavoro da facilitatore che interviene nella logica dei processi e che aiuta: a fare emergere i problemi del gruppo, a dare ordine al dialogo, a ricondurre il dialogo al filone centrale del problema, a contenere i conflitti per arrivare alla condivisione della logica principale del processo. Non si tratta dunque solo di formazione motivazionale (da team builder) ma di indagine sui punti di ingorgo dei sistemi basati soprattutto sui problemi di incomunicabilità.

«Occorre dipanare i principi. Sono i principi che costruiscono le nostre convinzioni, che ci forniscono l’identità e che ci fanno alzare al mattino. Ma è sui principi che si attiva lo scontro. Se in un’azienda il datore di lavoro aumenta il carico di lavoro e aumenta l’orario parlando di “flessibilità” è inevitabile che i lavoratori rispondano parlando di “diritti”. Ecco che dietro due parole, magari usate come bandiere, ci sono dei concetti, ed è di questi che il filosofo aiuta a prendere coscienza».

Così è capitato che per il Distretto del tessile di Biella, prima della grande crisi, Regina sia stata chiamata per facilitare i processi di innovazione che venivano individuati come unica strada per tenere testa alla concorrenza sul prezzo che arrivava dall’Asia. «In quello come in altri casi, abbiamo lavorato sugli stereotipi. I capi si lamentavano delle resistenze dei lavoratori, ma alla fine è emerso che gli addetti ai reparti erano più innovatori dei capi. Ed era da loro che bisognava iniziare».

La filosofia, quindi, lascia le aule ed entra in fabbrica. E chissà se un giorno si potrà insegnare anche al Politecnico.

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