Barbero e Perullo, solo l’educazione al gusto ci salva dal consumismo

ott 16 Barbero e Perullo (50)

Educare al gusto salva dal consumismo, perché ci rende più liberi nelle nostre scelte. Perché se il consumismo è un inganno (“credo di volere quel cibo che è uno status simbol, solo perché la pubblicità me lo ha detto”) allora è solo la consapevolezza piena di quel che sono che mi salva da comportamenti che so essere irrazionali come lo spendere di più per una cosa che non mi serve.

Così, i filosofi Carola Barbero dell’Università di Torino e Nicola Perullo, dell’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo (CN) moderati impeccabilmente dal giornalista Orlando Perera, hanno trattato il tema del consumismo, venerdì 17 ottobre, nella seconda serata di Pensare il Cibo 2015.

«Nella nostra società – sostiene Carola Barbero - l’individuo diventa quello che compra. E, come si sa, alimentando il consumo si alimenta la società (dei consumi). Il tema è capire fino a che punto il consumo è positivo per l’economia e quando la libertà dell’uomo consumatore viene compressa. Lo snodo è trovare margini di creatività e libertà nelle nostre scelte (“scelte”, appunto) di acquisto. E l’acquisto del cibo è un buon esempio di come si possa riconquistare la libertà di scelta: accorciando la filiera tra chi produce e chi consuma si può conoscere meglio la provenienza del cibo e si può esercitare quella libertà che abbiamo perso con l’acquisto dei prodotti a filiera lunga».

Tutti d’accordo sul fatto che il consumismo è prima di tutto una rinuncia alla propria libertà, un’akrasia, per dirla con la Barbero, cioè quella forma di debolezza che ci fa andare contro il nostro “miglior giudizio”. Per essere – sostiene Perullo – protagonisti delle proprie scelte, ci vuole una grammatica e una sintassi del nutrirsi. E poi si deve recuperare il mangiare come fonte di sensazione. Se accettiamo la divaricazione attuale tra il gusto trasmesso solo dai grandi chef e il mangiare come routine dei nostri pasti quotidiani, perdiamo molta parte della nostra umanità. E poi va recuperato il senso del mangiare insieme, che è poi il momento in cui gli individui si sentono più simili: se consolidiamo la condivisione dell’atto del mangiare insieme abbiamo anche un antidoto in più per scacciare le nostre paure».

E tra le paure ci sono proprio quelle alimentari, a partire dall’ortoressia, l’ossessione per l’origine del cibo che consumiamo (animale, vegetale, con glutine, biologico etc.).

«L’ortoressia – sostengono i due filosofi – è un fenomeno totalmente consumistico; si può sviluppare soltanto in una società consumistica. Ma la cultura del cibo e il recupero della convivialità e dello scambio delle esperienze alimentari, possono scacciare anche questa nuova fobia del male di vivere contemporaneo».

Opinioni